Porta la data del 23 febbraio il documento che colpisce duramente il Fondo per la non autosufficienza e quello per le politiche sociali: meno 50 milioni il primo, addirittura meno 211 il secondo. L’intestazione è Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Il tema del documento è Intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’articolo 1, commi 680 e 682, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016) concernente il contributo alla finanza pubblica delle Regioni a Statuto ordinario per l’anno 2017. Fuor di ‘burocratese’, sono i soldi che la Regioni devono dare o restituire allo Stato per contribuire alla finanza pubblica. In tutto 2.691,80 milioni di euro. Tra questi ben 485 milioni sono riduzioni di trasferimenti dallo Stato alle Regioni per alcuni fondi. Nella ‘Tabella 3’ del documento c’è l’elenco dei fondi tagliati e le cifre: 450 milioni per il Fondo per la non autosufficienza (erano 500), 99,762 milioni per il Fondo per le politiche sociali (erano 311).
Questo quanto deciso e firmato il 23 febbraio da Governo e Regioni (una discussione durata quasi un mese). Appena 24 ore prima, nel pomeriggio del 22 febbraio, l’aula del Senato aveva approvato definitivamente il decreto legge per il Mezzogiorno che all’articolo 5 recita: ‘Lo stanziamento del Fondo per le non autosufficienze, di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è incrementato di 50 milioni di euro per l’anno 2017’.
Si tratta del testo originale del Governo, presentato il 29 dicembre 2016 e non modificato dal Parlamento. È la promessa mantenuta dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Infatti la Legge di stabilità 2017 aveva già previsto un aumento di 50 milioni del fondo, passato così da 400 a 450 milioni. Troppo poco, era stata la denuncia delle associazioni del mondo della disabilità. Il 2 dicembre Poletti le riceve, assieme ai sindacati, e spiega che il massimo che si può fare è tentare di trovare altri 50 milioni, per arrivare così a 500, grazie a un accordo col ministero dell’Economia.
Ma la settimana successiva, dopo la vittoria dei ‘no’ al referendum, il governo Renzi cade. La Legge di stabilità viene approvata in fretta e furia, senza modifiche e quindi senza gli ulteriori 50 milioni. Ma il ministro si era impegnato, così col nuovo governo, riesce a trovare altri 50 milioni nel decreto per il Mezzogiorno. Che, come detto, viene poi approvato il 22 febbraio. Per essere poi annullato, per i 50 milioni, meno di 24 ore dopo. Con la ulteriore mazzata sul Fondo per le politiche sociali.
Cosa succede in Conferenza Stato-Regioni? Si deve decidere quanto tagliare per compensare la mancata spending review delle Regioni. La prima intenzione del ministero dell’Economia è di intervenire sui trasferimenti in materia sanitaria. Lunga trattativa tra il Mef e gli assessori al Bilancio e alla fine il 23 febbraio si firma l’intesa. Non si tocca la Sanità mentre si colpiscono disabili, le loro famiglie e i soggetti fragili. I fondi diventano così ‘indisponibili’ e rientrano nelle casse dello Stato.
Un problema politico, perché non sono solo soldi in meno che arrivano ai cittadini in termini di servizi e prestazioni. Questi fondi sono, infatti, anche uno strumento per far sì che le Regioni siano orientate ad arrivare a livelli essenziali di prestazioni, a fare piani e programmi. Togliere delle risorse è dare un pessimo segnale, in particolare per le Regioni del Sud che vivono soprattutto di trasferimenti. Secondo il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, la partita non è ancora finita: «Avremo presto un incontro con il ministro Poletti, vorremmo trovare insieme un accordo per ripristinare le risorse che sono venute a mancare».
Del resto, già il 3 marzo il sottosegretario Luigi Bobba, in commissione Affari sociali della Camera aveva sottolineato che «il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali non è stato in alcun modo coinvolto nell’istruttoria dell’intesa, oggetto di confronto con il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze». E aveva aggiunto che «l’orientamento costante del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dimostra la propria contrarietà alla prospettiva di una riduzione di tali fondi nella consapevolezza che trattasi di risorse destinate alle fasce più deboli della popolazione».
di Antonio Maria Mira