Dossier Fish: l’Italia abbandona 273mila disabili in strutture non accoglienti – Vita.it

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Dossier Fish: l’Italia abbandona 273mila disabili in strutture non accoglienti – Vita.it

by Silvia Benetello

by Silvia Benetello

In Italia la disabilità è ancora sinonimo di emarginazione, abbandono, addirittura maltrattamenti. Una condizione di vita spesso ben oltre i limiti del sostenibile che riguarda tante persone, specialmente gli anziani. A lanciare l’allarme è la recente “Conferenza di Consenso sulla segregazione delle persone con disabilità”, promossa dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (Fish), con l’intento di restituire centralità a un tema drammatico, troppo spesso considerato marginale o eccezionale: la segregazione delle persone con disabilità. È la prima volta che il movimento delle persone con disabilità lancia una sfida politica, culturale, scientifica e organizzativa sulla segregazione.

Secondo i dati presentati alla convention sono 273.316 le persone con disabilità che vengono ospitate dai presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari. Oltre l’83% sono anziani non autosufficienti, che nella quasi totalità dei casi vivono in strutture che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nel 2016, tra le violazioni penali più frequenti, l’Arma dei Carabinieri rileva 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapace, 16 di lesioni personali e 16 di sequestro di persona.

Accanto a questa segregazione, brutale e conclamata, si rilevano altre modalità più subdole e ugualmente inumane. Anche se queste spesso non manifestano condizioni di vita degradanti, maltrattamenti e violenze. Sono gli ambiti in cui si ripropone la separazione, l’isolamento, la contrazione delle elementari libertà individuali. Servizi in cui prevale una concezione sanitaria e ospedaliera che trasforma chi ne è ospite in “paziente”, “malato” e non più persona con il diritto di vivere normalmente la sua vita e le sue relazioni interpersonali. Come riconosciuto dall’articolo 19 della Convenzione Onu, infatti, “la persona con disabilità ha diritto di scegliere dove, come e con chi vivere, senza essere costretta a una determinata soluzione abitativa o a vivere in isolamento e segregata”. Un diritto “impossibile”, almeno in Italia, “dove necessitano maggiori o più intense politiche e servizi di sostegno”.

I dati

Attualmente, ricorda la ricerca presentata dalla Fish, in Italia sono 13.203 i presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari attivi al 31 dicembre 2014 (ultimo dato disponibile), per un totale di 399.626 posti letto. Dati in crescita rispetto a quelli registrati nel 2013 (pari 12.261 presidi, per un totale di 384.450 posti letto), ma in calo nel confronto con il 2009 (quando i presidi erano 13.207 per un totale di 429.220 posti disponibili). Gli ospiti dei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari sono 386.072 (+5,1% rispetto all’anno precedente, ma in calo del 4,5% nel confronto con il 2009). In particolare, quasi 290 mila sono anziani con almeno 65 anni di età (il 75,1% degli ospiti complessivi). Oltre 76mila sono adulti con un’età compresa tra i 18 e i 64 anni (il 19,7% del totale). Quasi 20mila sono minori (il 5,2% degli ospiti complessivi).

Al 31 dicembre 2014, le persone con disabilità e non autosufficienza presenti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari sono 273.316, pari al 70,8% del numero complessivo di ospiti. Anche in questo caso si manifesta un andamento simile a quello riscontrato per i precedenti indicatori, ossia un aumento del numero degli ospiti con disabilità e non autosufficienza nel confronto con il 2013 (+3,9%) e una riduzione rispetto al 2009 (-4,0%), ma in entrambi i casi l’entità di tali scostamenti risulta meno consistente rispetto a ciò che accade per il totale degli ospiti. Delle 273.316 persone con disabilità e non autosufficienza 3.147 sono minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva. Quasi 51.600 sono adulti con disabilità e patologia psichiatrica. E poi ci sono 218.576 anziani non autosufficienti. Dunque, oltre l’83% degli ospiti con disabilità e non autosufficienza sono anziani, appunto, non autosufficienti.

I maltrattamenti

I dati più recenti a disposizione li rivela un rapporto dei Nas presentato il 3 agosto 2016. Secondo i carabinieri, nel periodo 2014-2016 sono stati effettuati 6.187 controlli in strutture sanitarie, socio-assistenziali e in centri di riabilitazione neuro-psicomotoria. Da tali controlli sono state rilevate 1.877 non conformità (pari al 28% dei controlli eseguiti). Così 1.622 persone sono state segnalate all’Autorità Amministrativa. Sono stati effettuati 68 arresti. E ancora 1.397 persone sono state segnalate all’Autorità Giudiziaria. Sono state comminate 3.177 sanzioni penali e 2.167 sanzioni amministrative per 1,2 milioni di euro. Centosettantasei strutture sono state sottoposte a sequestro o chiusura.

Soffermandoci sui dati relativi al 2016, tra le violazioni penali più frequenti si registrano 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapaci, 16 di lesioni personali e 16 di sequestro di persona. In 260 occasioni sono state registrate inadeguatezze strutturali, assistenziali e autorizzative. In 109 i militari hanno segnalato casi di esercizio abusivo della professione sanitaria. E ben 124 locali destinati alla manipolazione e allo stoccaggio degli alimenti presentavano carenze igienico-strutturali. In 27 casi sono state scritte denunce per omessa notifica delle persone alloggiate alle autorità di pubblica sicurezza. E ancora: 21 autorizzazioni “assenti” e 15 strutture che detenevano farmaci scaduti.

Numeri che, attacca la Fish nel documento lanciato dalla Conferenza, dimostrano come nel nostro Paese “persistono servizi e strutture residenziali dove le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti vivono in condizioni segreganti e subiscono trattamenti inumani e degradanti”. L’appello alle Istituzioni comprende tre impegni: “liberare prima possibile le persone con disabilità che vivono in situazioni inumane e degradanti. Individuare con certezza le strutture da ritenere segreganti e quindi da chiudere o convertire, ma anche delineare nuovi modelli inclusivi di servizi e sostegni per l’abitare”.

di Daniele Piccinin

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