«I dati dell’ultimo rapporto ISTAT offrono un’evidenza incontrovertibile del contributo del non profit ed in generale del terzo settore all’occupazione». L’analisi di Mario Calderini, ordinario di Economia e organizzazione aziendale al Politecnico di Milano
I dati dell’ultimo rapporto ISTAT offrono un’evidenza incontrovertibile del contributo del non profit ed in generale del terzo settore all’occupazione. Contributo che apparirebbe ancor più straordinario se si potesse quantificare il valore intangibile, morale e psicologico, che l’imprenditorialità sociale ha regalato alle nuove generazioni, offrendosi come alternativa plausibile al nulla, alla perdita di senso e alla condanna di non avere alternative.
Leggendo questi numeri in controluce, si intravedono tuttavia fenomeni dai tratti ancor più promettenti di quello che la statistica è in grado di raccontare. Il terzo settore attraversa una fase di profonda trasformazione, in particolare nelle sue forme più imprenditoriali. Una trasformazione che spiega bene la crescente attrazione che l’imprenditorialità sociale, ma più in generale un certo modo di fare impresa per la società, esercita sulle nuove generazioni.
Il terzo settore attraversa una fase di profonda trasformazione, in particolare nelle sue forme più imprenditoriali sulla solidissima base del modello cooperativo, ancora di gran lunga il modello imprenditoriale dominante, o in alternativa a questo, vanno infatti consolidandosi, nel terzo settore ma non solo, forme organizzative e modelli d’impresa, difficilissimi da codificare negli schemi tradizionali, ma dei quali oggi si cominciano a distinguere alcuni tratti distintivi. In primo luogo l’ibridità, intesa come capacità di perseguire intenzionalmente un obiettivo sociale e nel contempo essere non solo economicamente sostenibili ma anche attrattivi per potenziali investitori. In secondo luogo, la strutturazione manageriale, in termini di capacità di utilizzo di strumenti e modelli di gestione e di elaborazione di strategie.
Queste caratteristiche, ibridità, managerialità e tecnologia, esercitano un’attrazione fortissima in chi, al termine di un percorso di formazione anche molto importante, senta la necessità di conciliare il più possibile i propri valori personali e le proprie ambizioni professionali in terzo luogo, la crescente intensità di competenze e tecnologie, non necessariamente alte o altissime, che aiutano a identificare i problemi, cambiano i modelli di intervento e abilitano nuovi modi di scalare l’impatto delle soluzioni trovate.
Queste caratteristiche, ibridità, managerialità e tecnologia, esercitano un’attrazione fortissima in chi, al termine di un percorso di formazione anche molto importante, senta la necessità di conciliare il più possibile i propri valori personali e le proprie ambizioni professionali.
L’imprenditorialità sociale di nuova generazione non è una traiettoria laterale o residuale, ma una concreta e centrale opzione di politica economica ed industriale, di cui forse si potrebbe cominciare a discutere per questa ragione, le ragazze e i ragazzi che guardano con interesse sempre crescente all’imprenditorialità sociale sono insieme effetto e causa della trasformazione in atto. Sono loro che danno vita a un nuovo modo di fare impresa per la società e sono loro ad intravedere nell’imprenditorialità sociale non un percorso laterale ma semplicemente l’impresa del futuro, l’unica possibile nel loro orizzonte. Questa loro intuizione è preziosa e andrebbe presa sul serio: l’imprenditorialità sociale di nuova generazione non è una traiettoria laterale o residuale, ma una concreta e centrale opzione di politica economica ed industriale, di cui forse si potrebbe cominciare a discutere.
di Mario Calderini